Yoga e C.G.Jung

Tratto da http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/meditazione/bergamaschi.pdf

Carl Gustav Jung è stato il primo ed unico psicoanalista ad aver concepito lo yoga come una espressione della psicologia dell’inconscio, ma al tempo stesso ad aver qualificato come “prekantiano” o “pre-psicologico” il metodo di liberazione dagli opposti che viene compiuto
attraverso la soppressione dell’io secondo gli assunti fondamentali della disciplina yogica.
L’ottica psicoanalitica con cui Jung si è accostato alla filosofia indiana lo ha portato ad interpretare “l’Oriente” con uno spirito terapeutico simile a quello utilizzato in analisi con i suoi pazienti.
Secondo l’approccio junghiano, lo studio della psiche deve incentrarsi intorno ad una visione olistica in cui gli elementi portanti della cultura occidentale enfatizzanti la razionalità e il controllo della realtà esterna possano fondersi in modo armonioso con quelli della cultura orientale più indirizzati all’interiorizzazione e all’intuito.
“Essere capaci di riconoscere l’archetipo, di vedere l’immagine simbolica dietro il sintomo, immediatamente trasforma l’esperienza. Può essere magari doloroso, ma ora ha un significato. Invece di isolare colui che soffre dai suoi simili, lo unisce a loro in un più profondo rapporto. Ora egli si sente partecipe di un’impresa collettiva – la tribolata evoluzione dell’umana consapevolezza – che iniziò nell’oscurità della palude primordiale e che finirà non sappiamo dove” (Jung, 1951 pag. 115-116).
Il tantra yoga (dal sanscrito tan, espansione e tra, liberazione) a cui si riferisce Jung vieneconcepito nel suo significato autentico di “espansione dell’ordinario stato di coscienza“ in contrasto con alcune misinterpretazioni mercificanti e riduttive.


Archetipi, inconscio collettivo, sincronicità e libido


Vengono riportati alcuni aspetti della psicologia analitica che fungono da presupposti teorici interpretativi della filosofia yogica.
Teoria degli archetipi e inconscio collettivo: Jung considera gli archetipi alla stregua di rappresentazioni ancestrali universali presenti nell’inconscio collettivo che supera la limitante dimensione individualistica freudiana. L’inconscio collettivo è un substrato di
tendenze biologiche ed istintuali che risalgono agli albori dello sviluppo dell’uomo quando la sua psiche era ancora affine a quella degli animali. Attraverso i suoi simboli onirici offre una guida per la crescita dell’ego personale dai livelli primitivi più istintuali che contengono i semi di ciò che l’individuo potrà e vorrà diventare. Nel suo approfondito studio
sui mandala e sui simboli archetipici nell’espressione artistica e nel mito, Jung sottolinea il contributo che la simbolizzazione creativa dell’inconscio offre al processo di crescita della personalità.


Teoria della sincronicità:

Attraverso tale teoria, Jung (1952) introduce il principio della sincronicità come dimensione esplicativa dei fenomeni non interpretabili attraverso i tradizionali nessi di causalità. Essa consiste in una correlazione psicofisica di livello cosmico. In tal senso, si avvicina perfettamente alla concezione yogica degli individui, che
interagiscono come sistemi integrati. Lo yogin si immette in una corrispondenza trasversale di significati tra psiche e soma, espressivi di uno stesso senso meta-spaziale e metatemporale. La teoria della sincronicità viene considerata un ponte di collegamento tra le idee
cosmologiche orientali e le moderne intuizioni della fisica quantistica.


Libido:

(energia vitale) trova la sua corrispondenza nel concetto indiano di Brahman, entità creatrice che unisce gli opposti. Lo yoga anela alla fusione tra anima individuale e universale come già sottolineato nel Capitolo 1; nella psicologia analitica il processo di introversione tende all’unione della coscienza con il suo opposto:
l’inconscio. L’energia prorompente del Brahman si manifesta secondo un principio di armonia cosmica, così come la libido viene direzionata dall’intenzionalità umana, che tende all’armonia e conduce all’autorealizzazione.

Il processo di individuazione


Il processo che conduce al bilanciamento della parte cosciente con quella non cosciente, ovvero alla totalità psichica, di cui il sé riscattandosi dal suo ruolo di subordinazione verso l’io ne diventa l’elemento rappresentativo, viene definito come processo di individuazione.
Il processo di individuazione comporta il riconoscimento dei valori autentici definiti come valori individuali, differenziati dai valori collettivi o esterni che spesso gli esseri umani assumono come propri.

C.G. Jung usa il termine “ego” come sinonimo di “ordinaria coscienza vigile” mentre in Freud tale termine possiede componenti sia consce sia inconsce.
Jung ritrova nel pensiero indiano il modello del processo di individuazione, ritenendo che quest’ultimo implichi uno spostamento della personalità dall’io al sé e l’unione degli elementi consci e inconsci, razionali e irrazionali in uno stato di completezza e di armonia.
Il sé è l’archetipo appartenente all’inconscio collettivo che conduce alla completezza dell’ego. Il sé viene alla luce solamente attraverso gli archetipi che inviano dei messaggi all’ego attraverso sogni e simboli, tuttavia rimanendo nell’oscurità dell’inconscio senza
poter essere mai direttamente conosciuto.

La base della consapevolezza rimane affidata all’ego. Jung affermava: “Nessuna coscienza può esistere senza un ego; la coscienza necessita di un centro. Non conosciamo altri generi di coscienza né possiamo immaginare una coscienza senza ego” (Jung, 1934 pag. 283).

Purtroppo Jung non spinse la propria ricerca al di là della concezione dell’ego ordinario come epiteto della ordinaria coscienza; la
psicologia yogica assume invece l’esistenza di una coscienza superiore che conduce alla totale rilevazione e conoscenza dell’inconscio, individuale e collettivo, grazie alla disidentificazione dell’io dagli involucri corpo e mente.


Interpretazione ego-dipendente della dottrina yogica


Jung ha interpretato secondo un punto di vista per così dire “ego-dipendente” la dottrina yogica: in effetti egli stesso ha affermato che “i massimi livelli di coscienza identificati come samadhi dagli yogi erano sinonimi di una perdita di coscienza dell’ego anziché di una dilatazione metaforica dello stesso, pertanto deleteri e portatori di follia e psicosi” (Jung, 1934 pag. 287).
Clarke (1994) ha evidenziato il connotato eurocentrico e dualistico del pensiero junghiano che concepisce la civiltà asiatica come entità monolitica, sottovalutandone gli elementi di differenziazione. L’interpretazione junghiana della cultura orientale avviene solo grazie agli archetipi ereditati culturalmente, proiezione mentale dell’inconscio collettivo. Clarke (1994) sottolinea inoltre come Jung abbia equiparato il samadhi all’estasi, che invece è il risultato di una improvvisa e in larga misura involontaria immersione in un’area dell’inconscio non completamente integrata dalla consapevolezza.
Da tali considerazioni, emerge una visione più ambigua dei contributi junghiani con riferimento alla interpretazione della cultura orientale, eventualmente rafforzata dall’esortazione di Jung nei confronti degli occidentali a trovare una propria forma di yoga,
tralasciando le pratiche dello yoga indiano. Appare ambivalente agli occhi di Clarke (1994), il fatto che Jung in occasione del suo viaggio in India nel 193718 abbia preferito non incontrare Ramana Maharshi, uno dei più grandi leader spirituali indiani, optando invece per
un suo discepolo.
Nonostante le critiche rivolte a Jung con riferimento al paradossale estraniamento alla
cultura indiana, resta indubbio il suo contributo antesignano, preziosissimo per avere individuato una dimensione transpersonale in una zona sconosciuta della mente, anche se non è stato riconosciuto il ruolo svolto dalla meditazione per rendere la stessa esperibile.
Come avviene a molti ricercatori che scoprono una nuova terra continuandola a descrivere in termini di terre conosciute, Jung aveva identificato qualcosa di cui non riuscì ad afferrare interamente le vaste implicazioni. Egli tentò di capire il transpersonale in termini adatti alle
limitazioni dell’ego definendolo “istinto”.


Il risveglio della kundalini come processo evolutivo


Nel corso delle quattro conferenze seminariali del 1932, tenute al Club psicologico di Zurigo in seguito alle sei organizzate nello stesso anno dall’indologo tedesco Wilhelm Hauer, Jung ha approfondito il kundalini yoga, come risveglio dell’energia primordiale dormiente personificata da Shakti (sotto forma di serpente attorcigliato alla base della colonna
vertebrale), al fine di rientrare in coniunctio con Shiva. Tale risveglio viene attivato attraverso un percorso analitico preparatorio, nel quale l’individuo sottoposto all’analisi acquisisce un certo grado di consapevolezza dell’autonomia dell’inconscio, definita come “oggettività psichica”.
“Attivare l’inconscio significa risvegliare il divino, la devi…kundalini significa dare inizio allo sviluppo del sovra-personale all’interno dell’individuo per accendere la luce degli dei.
Kundalini è il sovra-personale, il non-Io, la totalità della psiche, e soltanto grazie a lei possiamo raggiungere i chakra più alti in senso metafisico e cosmico” (Jung, 1996 pag. 114, 115).
L’interesse di Jung per il kundalini yoga nasce dal suo incontro con una giovane paziente europea cresciuta in India di cui egli stesso riesce ad interpretare i sogni solo in seguito alla lettura di “The Serpent Power” di Sir John Woodroffe (1950).

Jung (1996) descrive pertantol’itinerario ascensionale dai livelli più bassi a quelli più alti dei chakra.

Jung fu inviato dal governo britannico a partecipare alle celebrazioni per il venticinquesimo anniversario dell’Università di Calcutta.
Il quale sotto lo pseudonimo di Avalon ha portato a termine la traduzione dei testi Shatchakra Nirupana e Paduka Panchaka che costituiscono il testo “The Serpent Power”.
analizzando gli stessi dal punto di vista psicologico, tralasciando solo il settimo non suscettibile di essere raccontato sub specie psychologica.
Secondo Jung il kundalini yoga si basa su delle verità che emergono dall’inconscio collettivo sotto forma di archetipi ai quali viene donato un significato simbolico.
.
Il passaggio dai chakra inferiori a quelli superiori corrisponde al progresso impersonale caratterizzato dall’oggettività psichica, che avviene elevando progressivamente l’io al Sé, passando per il non-io.


Interpretazione junghiana dei chakra


All’altezza del muladhara chakra, il cui significato letterale è “a sostegno delle radici”, l’io è conscio mentre il Sé é addormentato, in quanto l’impersonale si trova ancora allo stato potenziale. Il mondo reale pur concepito come illusorio dalla filosofia indiana, rappresenta
tuttavia la conditio sine qua non per far scattare la scintilla da cui ha inizio una nuova coscienza; kundalini è addormentata e avvolta intorno al linga. Solo attraverso e in seguito al processo di radicamento, simboleggiato dall’elefante che rappresenta la libido, può svolgersi
lo sradicamento che conduce alla realizzazione del Sé.
Secondo Jung, il muladhara chakra simboleggia la cultura occidentale, la quale non ha ancora sperimentato il risveglio della coscienza cosmica.
Lo svadhistana chakra che significa letteralmente “dimora del proprio sé” è sede dell’inconscio e il suo elemento è l’acqua, a simboleggiare l’annegamento a cui ciascuno è potenzialmente soggetto durante i viaggi inconsci, al fine poi di riemergere e di rinascere.
L’elefante si è trasformato nel mostro leviatano che dimora in tale mare minaccioso.
Il manipura chakra che letteralmente significa “città dei gioielli”, é la sede dell’esperienza psichica conscia (strettamente legata al corpo), la quale si manifesta nella pienezza delle passioni ed emozioni con le quali avviene una totale identificazione con l’io, scatenate dopo aver attraversato l’inconscio. L’ariete corriere di Agni, signore del fuoco, corrispondente a questo chakra, è un animale impulsivo ma sacrificale, meno pericoloso del leviatano: la consapevolezza delle proprie passioni è meno traumatica e distruttiva rispetto allo stato inconscio riferito alle stesse.
Anahata, letteralmente “inattaccabile”, corrisponde alla sede del primo riconoscimento del Sé come distinto dall’io e come Purusa ovvero forma di esistenza puramente psichica con la
quale non ci si identifica ma che risulta soggetta all’osservazione.

Si noti l’analogia con la tecnica di interpretazione dei sogni.

La fugacità mista a inafferrabilità del fattore psichico viene simboleggiato dalla gazzella timida, veloce e sfuggente i cui piedi sono sollevati nell’elemento aria; il processo di individuazione potrebbe essere interrotto in corrispondenza di tale chakra a causa di una
degenerazione dell’amor proprio in auto-esaltazione.
All’interno del vishuddha chakra che significa letteralmente purificazione, il Sé diventa impersonale e il mondo diviene un riflesso della psiche: l’esperienza viene considerata come esperienza del mondo psichico e l’analisi come esperienza soggettiva. L’elefante, già
presente nel primo chakra, sorregge l’etere, simboleggiando la trasformazione della materia da grossolana a sottile.
Grazie al raggiungimento dell’ajna chakra, dal significato letterale “episteme, conoscenza”, si perviene alla identificazione con la realtà psichica eterna, all’interno della quale l’io e il Sé si fondono. Non esistono più opposizioni rappresentate dalla simbologia animale nei
chakra inferiori. Jung non si esprime compiutamente in merito a questo chakra e al sahashrara simbolo della pura coscienza, in quanto entrambi si reputa non possano essere soggetti alla comprensione dell’uomo occidentale.


Ampliamento dell’interpretazione junghiana dei chakra


Si riportano delle interpretazioni fornite da Swami Rama, Ballentine e Swami Ajaya (1976), che hanno contribuito ad alimentare un ulteriore filone di ricerca e di studi all’internodell’Himalayan Institute.
Il chakra della radice é collegato ai più rudimentali istinti di sopravvivenza quali l’istinto di conservazione e l’auto-difesa. La dicotomia “aggressore-aggredito” si connette alla
formazione delle categorie originarie “buono-cattivo”, che pongono le basi della propria organizzazione psichica. La volontà di concentrare esclusivamente l’energia nel primo chakra, conduce alla proiezione all’esterno degli aspetti negativi e dolorosi (per timore di
esserne sopraffatti) nonché all’incapacità di tenere sotto controllo i rispettivi impulsi distruttivi.
Il chakra sacrale, intimamente congiunto alla conservazione della specie, è associato a specifiche gratificazioni sensuali provenienti dalla sessualità. Esso é responsabile di un certo tipo di creatività, ancorchè estrinsecantesi sempre su un piano grossolanamente biologico.
Ai livelli più profondi del subconscio ci si imbatte nella tendenza ad identificarsi con gli oggetti della percezione, nei forti attaccamenti e nel totale assorbimento nell’altro.
Una delle modalità prescritte dalla tradizione yogica per evitare una eccessiva sedimentazione energetica “in loco”, corrisponde al processo di sublimazione freudiano la cui originaria teoria della natura psichica dell’uomo, originata dagli studi sugli istinti sessuali, sembra perfettamente in linea con il contesto delineato dal chakra sacrale (basti pensare alla perfetta corrispondenza tra quest’ultimo e lo stadio genitale del modello di sviluppo freudiano).
Il plesso solare riguarda il comportamento autorevole ed efficiente che consente all’individuo di provvedere alle proprie esigenze personali. Un notevole grado di carica
energetica in tale chakra può condurre alla tendenza al dominio tirannico e all’autoritarismo,
paradossalmente accompagnato da un senso di struggente passività e sottomissione.
Il chakra del cuore rappresenta il punto di incontro tra due distinte coppie di polarità del campo energetico del corpo: la prima è quella esistente tra i chakra alti e bassi; la seconda riguarda la separazione tra la parte attiva-yang-maschile della natura umana e quella passiva yin-femminile. Neumann (1954) descrive il diaframma come una frontiera simbolica tra lanatura istintiva umana e i centri superiori legati ad una coscienza superiore. Il chakra del cuore è la sede di quei sentimenti non contraffatti dal senso di attaccamento e dalle dipendenze; sebbene l’altro sia ancora percepito come distinto, non è più oggetto di frenetici
tentativi di possesso, di dominio e di sopraffazione.
L’area di localizzazione del vishudda chakra, la gola, lo lega intimamente alla ricettività, ovvero ad un certo grado di fiducia e di naturale disinvoltura verso la fonte del nutrimento.
Da tale considerazione, emerge che il chakra della gola personifica il ruolo del figlio 0nell’atto di assumere ciò che gli viene elargito.
Swami Rama, Ballentine e Swami Ajaya (1976) evidenziano i collegamenti con la teoria dell’attaccamento di Bowlby (1958) nella sua duplice matrice psicoanalitica ed etologica, secondo la quale le caratteristiche individuali emergono nel contesto della relazione precoce che intercorre tra il bambino e la figura del caregiver.
Inoltre il chakra della gola è la sede della vocalizzazione e del canto, della verbalizzazione e della creatività. Grazie alla ripetizione del rituale della verbalizzazione, si ristrutturano, costruiscono e modellano nuove realtà conoscitive ed operative così come è stato evidenziato da numerosi antropologi, tra cui si cita Whorf (1956).
Interessante sottolineare come la fase orale legata alla bocca, nella psicoanalisi venga considerata come la più primitiva fase di conoscenza (anteriore alle fasi anale e genitale

Whorf ha sottolineato l’intima congiunzione tra creatività e fattore nutritivo/verbale con riferimento agli indiani Hopi.
corrispondenti rispettivamente al secondo e terzo chakra) mentre nel sistema di sviluppo dei chakra corrisponda ad un livello già elevato. Nella teoria psicoanalitica si tende a considerare lo stadio più evoluto come una sorta di imitazione di quanto avvenga nelle primissime fasi; secondo la teoria yogica i livelli di sviluppo più primitivi sono considerati
come un riflesso distorto di quelli più evoluti.
Gli ultimi due chakra, in quanto rappresentativi dei principi massimi della filosofia yogica, ovvero l’unione dell’anima individuale e di quella universale perseguibile attraverso la forza dell’intuito che conduce agli stati di coscienza superiori, possono trovare nella meditazione il
trait d’union concettuale con le correnti di psicologia più attuali.


Chakra Processo di individuazione junghiano
Altre Interpretazioni
Swami Rama (1976)


Muladhara il conscio, Sé addormentato Istinto di sopravvivenza e di
autodifesa.

Il Chakra Maladhara è il primo dei 7 chakra ed è conosciuto anche come il chakra della radice. Si trova precisamente tra i genitali e l’ano.

Il nome significa “sostegno della base” e infatti questo chakra è il centro della base e rappresenta il principio di tutto il sistema dei chakra.

Se il sostegno è forte abbastanza, allora l’energia può salire verso tutti gli altri chakra. 

Il suo elemento è la terra, in quanto solido e stabile e l’infanzia è la fase della vita alla quale viene associato. Qui si genera l’impulso sessuale.

Viene raffigurato da un quadrato inscritto in un cerchio, circondato a sua volta da quattro petali di loto di colore rosso. Colore, numero e forma geometrica sono attributi della terra.

Al centro del quadrato ci sono un triangolo, il mantra LAM e l’elefante. 


Svadisthana Inconscio Istinto di conservazione della specie
Manipura Io identificato con le proprie emozioni

Per capire il significato del nome dobbiamo dividerlo in due parti.

La parola Svadhisthana deriva dal sanscrito, dove Sva significa “Sè”, mentre adhisthana sta per “dimora”. Quindi lo si può definire come il chakra della propria dimora.

È il chakra della creatività e del sesso, da qui partono sia la personalità di ognuno di noi ma anche la volontà di un contatto con le altre persone.

Svadhisthana Chakra si trova alla base del pene nell’uomo, mentre per la donna in corrispondenza della vagina.

Viene rappresentato come un loto a sei petali di colore arancio dove su ogni petalo si trova una lettera dell’alfabeto sanscrito.

All’interno del loto è presente una luna crescente di colore bianco generata da due cerchi. Il più grande è la dimensione conscia dell’esistenza e il più piccolo la dimensione inconscia.

All’interno dello spicchio della luna è invece raffigurato un coccodrillo bianco che simboleggia i movimenti sotterranei del karma.

Per comprendere il significato completo del nome bisogna dividerlo in due parti. Manipura è una parola sanscrita dove Mani significa “gemma” o ‘‘gioiello” mentre pura sta per “città”.

Quindi lo si può definire come il chakra della città della gemma.

Questo chakra rappresenta l’unione della stabilità e del fluire, gli elementi dei primi due chakra. L’elemento al quale è collegato è il fuoco e il colore è il giallo. Si trova nel plesso solare, ovvero la parte dell’addome tra il diaframma e l’ombelico.

Manipura controlla l’apparato digestivo e la trasformazione non solo del cibo, ma anche della nostra vita. Alimenta il processo di rinascita e cambiamento.

Viene rappresentato attraverso un fiore di loto formato da dieci petali gialli sui quali sono scritte dieci lettere.

Dieci, come il numero delle nadi che danno origine al chakra. Al centro del fiore si trova un triangolo rosso con la scritta RAM e un ariete. Il rosso è il simbolo del fuoco.


Anahata Inizio astrazione: scoperta del Sé Empatia

Il significato del suo nome sanscrito è letteralmente “non colpito”. Indica il suono che viene prodotto da due elementi che non urtano uno con l’altro. Fa riferimento all’incontro tra il plesso cardiaco e quello polmonare, proprio l’area dove esso si trova.

Viene raffigurato con un loto di colore verde formato da dodici petali. Su ogni petalo è presente una consonante in sanscrito.

Anahata, trovandosi in una posizione così centrale rappresenta anche l’aria che unisce il terreno con il cielo. Ed è quello che fa il quarto chakracollega il terreno con lo spirito, i chakra inferiori con quelli superiori.


Vishudda Sé impersonale Nutrimento/Creatività Ajna Identificazione con la realtà psichica eterna Conoscenza intuitiva

Nella lingua sanscrita, Vishuddha significa puro. È collegato all’etere, ovvero il quinto elemento che è simbolo di purezza e vastità. Questo significato deriva dal fatto che l’energia all’interno di questo chakra si muove dal basso verso l’alto.

Questa energia permette al chakra di purificarsi e di prendere forma nelle due delle più importanti interazioni di ogni persona, ovvero la comunicazione e l’ascolto.

Vishuddha è il quinto chakra ed è anche chiamato il chakra della gola perché si trova proprio all’altezza di essa. Questa posizione gli permette di avere pieno controllo di organi importanti che si trovano in quella zona come la trachea, le corde vocali e il naso.

Ajna chakra è il sesto chakra e viene anche chiamato il chakra del terzo occhio.

In lingua sanscrita Ajna significa letteralmente “percepire”. Ajna chakra è il sesto chakra e viene anche chiamato il chakra del terzo occhio.

Questa denominazione deriva dal fatto che esso si trova al centro della fronte, esattamente tra le sopracciglia ed è la sede dell’intuizione e della vista al di là delle apparenze e al di là anche della stessa realtà.

È collegato agli occhi ma anche alla fronte, alle tempie, al cervello e al midollo spinale. In questo chakra si collegano tutti gli opposti e tutte le dualità, come il maschile e il femminile, la ragione e l’intuizione, la forma e la sostanza, il corpo e la mente, il buono e il cattivo.

E il terzo occhio vede quello che esiste oltre a questi concetti, dissolvendo le dualità per arrivare a scorgere la vera realtà.

Questa posizione gli permette di controllare gli organi che si trovano in quella parte del nostro corpo come gli occhi, il sistema nervoso, quello ormonale e l’ipofisi.


Sahashrara Pura coscienza Stadio di supercoscienza
Tassonomia dei chakra.
Significative corrispondenze possono essere tracciate tra i chakra e la piramide gerarchica dei bisogni, strutturata da Maslow (1954), nella quale dai bisogni più elementari necessari
alla sopravvivenza dell’individuo si giunge a quelli più complessi di carattere sociale la cui massima espressione è rappresentata dall’autorealizzazione. I bisogni fisiologici, di sicurezza e di stima corrispondono ai primi tre chakra; quelli di affetto e di comunicazione
empatica al quarto e quinto chakra; per poi direzionarsi verso il quinto, il sesto e il settimo per quanto concerne i bisogni di autorealizzazione.
Attraverso la presentazione di tali corrispondenze, si intende orientare la disciplina yogica verso l’elaborazione di una teoria della motivazione sempre più completa e integrata nell’ambito della psicologia moderna.

In lingua sanscrita “Sahasrara” significa “fiore dai mille petali” o “mille volte tanto”, un numero simbolico che indica l’infinito. La sua energia dissolverà l’Io nel Tutto e ci permetterà di fare esperienza dell’Unione.

Sahasrara è il settimo chakra si trova proprio sopra la testa. È per questo motivo che viene anche denominato il chakra della corona.

Sahasrara è il chakra della liberazione, della conoscenza e della beatitudine. Non si trova nel corpo fisico, bensì al di sopra, sopra la testa. È legato all’energia dell’universo, alla connessione con il Divino, all’Illuminazione. Chi raggiunge questo stadio avrà compreso i misteri della vita, compresi la nascita e la morte.

C’è un’importante differenza che lo contraddistingue rispetto agli altri, ovvero che non governa nessun organo.

La sua posizione gli permette di avere il pieno controllo della zona che riguarda il nostro cervello e di dirigere la nostra conoscenza e la nostra spiritualità. Puoi considerarlo come lo strumento che collega l’universo naturale con quello spirituale.


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